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QUANTI CAFFE’ POSSO BERE AL GIORNO?

 
Tantissime volte mi sento porre questa domanda che, immagino, tutti i bevitori di caffè si sono fatti almeno una volta nella vita. Ci sono persone che si sentono in colpa se ne bevono più di due al giorno, altri che ammettono tranquillamente di berne sei o sette tazze.

In genere la mia risposta di nutrizionista è, spesso, che è più interessante sapere quanti cucchiaini di zucchero vengono aggiunti, perché quelli possono incidere sulla dieta più del caffè stesso. Oppure se al caffè viene aggiunto il latte e, se è così, di che tipo e in quale quantità.

 Per prima cosa bisogna valutare nell’arco della giornata il consumo di caffè insieme a quello delle bevande ricche di caffeina, spesso sottovalutate: tè, guaranà, cioccolato e alcune bibite (tra cui le bevande tipo cola e gli energy drink).
Come molti colleghi hanno già illustrato in alcuni lavori scientifici, il contenuto di caffeina medio può variare moltissimo a seconda di:

- quanto caffè utilizzo;

- quanta acqua utilizzo;

- quanto tempo lascio la caffettiera sul fuoco;

- se si tratta di un espresso al bar o di un beverone della macchinetta sul lavoro.

La stessa variabilità si ha anche per il tè, mentre per quanto riguarda le bibite le differenze sono legate a marche diverse (vedi Red Bull o Burn ecc..)

Ma facciamo l’ipotesi di una persona che beve solo caffè: quando si può dire che sono troppi? Ovviamente prendiamo come esempio un soggetto adulto e sano, non una donna in gravidanza e neppure una persona che assume farmaci o che è ipertesa o cardiopatica (esempi di situazioni in cui le regole cambiano).
Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un passo indietro e pensare a cosa c’è effettivamente all’interno di una tazzina di caffè: non stiamo parlando semplicemente di caffeina e acqua, ma di una molteplicità di sostanze, la cui presenza e concentrazione variano a seconda della preparazione.

Per questo motivo, pur essendoci miriadi di studi su questo alimento, è difficile per i ricercatori fare sintesi e dare delle informazioni chiare e precise.
Anche l’EFSA (European Food Safety Authority) ha preferito limitare i claims nutrizionali in base al contenuto di caffeina e non all’alimento che lo contiene, perché tutto dipende da come questo alimento viene trattato.

 Vi faccio alcuni esempi per chiarire meglio.

 Vari studi riportavano un aumento di colesterolo totale e LDL correlato al consumo di caffè, mentre in altri non si evidenziava lo stesso effetto. Approfondendo si è scoperto che questa differenza poteva dipendere dal tipo di preparazione (bollitura, filtrazione con filtro di carta o preparazione dal prodotto solubile), che può eliminare particolari sostanze chiamate diterpeni, che agiscono sull’equilibrio dei grassi.

Una componente importante del nostro caffè è costituita dagli acidi clorogenici (CGA), variabili nelle diverse qualità (arabica o robusta), provenienti da aree geografiche diverse e a seconda del metodo di tostatura. Queste sostanze, appartenenti alla categoria dei fenoli e con attività antiossidante, vengono quasi completamente distrutte dalla microflora del colon; la percentuale che rimane sembra agire su alcuni trasportatori intestinali e sugli enzimi epatici, contribuendo a diminuire la glicemia.

Si potrebbe pensare allora di bere tanto caffè e cercare quello ricco di CGA.

Ma non è così facile: i CGA sono considerati i principali responsabili del reflusso acido, di cui qualcuno soffre quando beve un caffè, soprattutto a stomaco vuoto. Ed è per colpa loro che il caffè è tra le prime cose che si consiglia di eliminare quando si soffre di gastrite.

Ma non è tutto qui: il caffè viene considerato come una fonte di magnesio, potassio e vitamine come niacina e vitamina E.
Il caffè, insomma, è un alimento ricco di proprietà, perciò un consumo regolare e limitato può essere considerato utile al benessere, a meno che non ci siano indicazioni di salute contrarie.

Ma la risposta alla domanda iniziale si deve basare, per ora, sul limite di caffeina massima tollerata.

Esiste una dose massima di caffeina da assumere al giorno? Sembra una domanda banale ma i primi dati fanno supporre che una quantità di caffeina di 200 mg (considerate che una tazzina di caffè ne contiene circa 80) in un’unica dose, e un consumo giornaliero di 400 mg, siano sicuri per adulti sani, indipendentemente dalla presenza di sforzi fisici, dal consumo di alcol o di altre sostanze (come quelle presenti negli energy drink).

Per le donne in gravidanza e per i ragazzi (fino a 18 anni) la quantità va ridotta rispettivamente a 200 mg al giorno e a 3 mg per chilo di peso corporeo. Infatti le conseguenze più visibili si hanno sulla durata del sonno (o viene ritardato o dura di meno).
 

Alla prossima per scoprire ulteriori novità su questo argomento!

 

 



Ecco una recente news dal sito della Coldiretti:
 
GRASSI TRANS RESPONSABILI DELLA PERDITA DI MEMORIA?
 
L'Università della California- San Francisco lo rivela in uno studio: chi consuma troppi grassi acidi "trans" (TFA) va incontro a maggiori rischi di perdita o malfunzionamento della memoria.
I ricercatori, che hanno seguito 1000 uomini al di sotto dei 45 anni, in buone condizioni di salute, hanno scoperto che... chi mangia più grassi TFA ha peggiori performance cognitive nei test per ricordare parole (memoria a breve termine).
 
Lo studio
Nell'esperimento, ai soggetti venivano presentate diverse carte con parole scritte, dovendo decidere se erano ripetizioni o parole nuove.
Sembra che ogni grammo in più di grassi trans porti ad una perdita di circa lo 0,7% (sulle parole). Nei forti consumatori, che arrivano fino a 15 grammi al giorno, si arriverebbe così una perdita del 10% circa.
L'ipotesi è che i grassi trans abbiano un effetto negativo sul flusso di sangue alle cellule cerebrali, in particolare nelle aree più importanti. I grassi trans sono inoltre tradizionalmente noti per aver effetti deleteri sul sistema cardiovascolare e sembrano predisporre ad alcuni tipi di cancro. I grassi trans inoltre agirebbero negativamente sull'umore, rendendo più irritabili e depressi i consumatori.
Ma cosa sono questi grassi trans?
Sono grassi particolari che si formano a seguito di una cattiva reazione di idrogenazione, una reazione chimica necessaria per trasformare oli e grassi liquidi in grassi solidi (il tipico esempio è la produzione della margarina): quando questa reazione "fallisce" si formano numerosi acidi grassi trans che purtroppo hanno la capacità di innalzare i livelli di colesterolo LDL (quello "cattivo").
Dove li troviamo? Nella maggiorparte dei prodotti preconfezionati come patatine, merendine e biscotti: sono utilizzati in grande quantità perchè conservano più a lungo questi prodotti e ne permettono una maggior vendita.



In Europa fino a pochi giorni fa non era obbligatorio indicare in etichetta la presenza di grassi TFA. Ma la Commissione ha mosso una consultazione pubblica per capire se è necessario farlo.
Oggi i consumatori possono solo orientarsi leggendo "parzialmente idrogenati" o "totalmente idrogenati" -sempre sulle etichette, ma il messaggio rischia di essere fuorviante. Infatti "parzialmente", sebbene suoni più leggero, indica una maggiore presenza probabile .... di trans. Una buona reazione di idrogenazione infatti esclude la formazione di grassi trans.
Lo studio è stato presentato alla American Hearth Association a Chicago nei giorni scorsi.




 

Cibo e salute: attenzione alla pizza!!


 


Quante volte ci capita di mangiare una pizza fuori con gli amici e di passare tutta la notte a bere acqua con una sensazione di sete infinita? Oppure abbiamo la sensazione che ci stia ancora “lievitando” nello stomaco? Cerchiamo di capire perché succede!

Spesso si crede che alla base di questi disagi ci sia una lievitazione incompleta: in realtà la causa sta in una “maturazione” insufficiente oppure nella scarsa qualità degli ingredienti (farina soprattutto).

Qual è la differenza? Con la lievitazione l’impasto aumenta di volume grazie all’azione fermentativa del lievito (di solito Saccharomyces cerevisiae) che trasforma gli zuccheri disaccaridi in monosaccaridi, liberando acqua e anidride carbonica che rimane intrappolata nella struttura proteica del glutine.

Contemporaneamente a questo processo avviene la maturazione, fase in cui gli enzimi idrolitici (amilasi e proteasi) presenti nella farina e attivati dall’acqua aggiunta all’impasto, scompongono gli amidi e il glutine. Tuttavia, mentre la lievitazione avviene generalmente in tempi rapidi, la maturazione ottimale è condizionata da diversi fattori tra cui le caratteristiche della farina (forza, composizione proteica e amidacea), la temperatura ambiente e il tempo di lievitazione.

Con le farine forti (a maggior contenuto di glutine) il tempo di maturazione si allunga, occorre quindi rallentare la lievitazione e favorire i processi di scomposizione dell’amido, mettendo l’impasto a bassa temperatura (da 2 a 4 °C circa) da un minimo di 24/36 fino a 72 ore. Se si utilizza una farina più debole invece possono bastare 8-10 ore di maturazione a temperatura ambiente, valutando però sempre la dose di lievito più adatta alla temperatura.

Un altro elemento da considerare è l’aggiunta di miglioranti alla farina (glutine secco per aumentare la quantità di proteine o robuste quantità di enzimi).

«L’aggiunta di sostanze rinforzanti – spiega Marco Lungo esperto di pizza e lievitati – permette di velocizzare la lievitazione e quindi di accorciare i tempi di lavorazione, ma penalizza la qualità dell’impasto con ripercussioni negative sul gusto. Anche la presenza di un eccesso di enzimi è negativa perché la pizza può risultare indigesta stimolando la sete».

 Se la maturazione e la cottura vengono effettuate a regola d’arte, la pizza sarà più digeribile e sicuramente più saporita. L’ultimo elemento che può scatenare la sete è l’eccessiva quantità di sale usata per correggere i difetti di una scarsa maturazione, ma questo difetto si “sente” subito al palato.

La mozzarella, che non ha una correlazione con la sete, gioca un ruolo fondamentale nella pizza. Molte pizzerie la sostituiscono con i cosiddetti “siluri” ovvero panetti a forma di cilindro ottenuti da formaggio fuso. L’aspetto accattivante di questo formaggio è il costo che rispetto alla vera mozzarella dimezza e da un punto di vista operativo si accorciano anche i tempi  di lavorazione (non va fatta scolare). L’esito sul piano qualitativo e organolettico è però deludente.

Non è tutto: «Anche l’acqua – spiega Leonardo Caputo, ricercatore dell’ Ispa-Cnr di Bari – ha un ruolo importante in questo complesso processo biotecnologico perché influenza la formazione del glutine, l’idratazione dell’amido nell’impasto e favorisce la lievitazione in cottura. L’acqua infatti permette la stabilità degli alveoli della mollica nel forno, quando, grazie alle alte temperature, l’anidride carbonica è ormai volata via. Alla fine, quando anche l’acqua è evaporata, la pizza continua a cuocere con la costante riduzione del numero dei lieviti (e dei conseguenti problemi intestinali) fino ad ottenere la caratteristica fragranza.

Dopo questo lungo e laborioso processo per una qualità inimitabile, la pizza è pronta! Gustiamola però con pochi condimenti (non salati) tipici della tradizione italiana che esaltano il sapore della farina di grano di cui è fatta».

 

 
 




In un recente articolo pubblicato da Il Fatto Alimentare (10 km per smaltire una bibita!) , si parla degli effetti negativi del fruttosio, se assunto in eccesso. Il test prende in considerazione ciò che succede somministrando una quantità di fruttosio pari a 75 grammi (simile a quello contenuto in una bibita zuccherata da 250 kcal) e arriva alla conclusione che sia necessario camminare per 10 km per smaltirlo!!!
Nell’esperimento tuttavia non si parla di fruttosio contenuto nella frutta..ci sono differenze??

Riporto le risposte del prof. Enzo Spisni, docente di Fisiologia della Nutrizione all’Università di Bologna.

I risultati degli studi finora condotti dimostrano due cose ben distinte:

1) il fruttosio ha una sua pericolosità, legata ai quantitativi assunti e allo stile di vita di chi lo assume;

2) l’attività fisica neutralizza gli effetti negativi di un eccesso di zuccheri semplici (fruttosio, ma anche il normale saccarosio).

Per quanto riguarda il primo punto, sia per le quantità di fruttosio in gioco, sia per le modalità di assunzione (fruttosio raffinato aggiunto), possiamo concludere che è un grave errore sostituire il saccarosio con il fruttosio nell’alimentazione delle persone sane. È vero che il fruttosio ha un minore indice glicemico rispetto al saccarosio (cioè causa minori aumenti della glicemia), ma è stato dimostrato che il fruttosio peggiora il nostro metabolismo lipidico, favorendo quindi l’insorgenza di diverse patologie, come quelle cardiovascolari.
Questi studi però analizzano gli effetti del fruttosio aggiunto agli alimenti (nello specifico nelle bibite) e non quello naturalmente presente nella frutta! La frutta contiene una serie enorme di sostanze protettive per la salute, e possiede anche una sorta di antidoto naturale agli zuccheri semplici: la fibra. Per un individuo sano, mangiare frutta quotidianamente è salutare, perché complessivamente i fattori protettivi presenti nella frutta superano di gran lunga i possibili (e per ora non dimostrati) effetti negativi degli zuccheri semplici in essa contenuti.
Per quanto riguarda il secondo punto, è ormai evidente che la pericolosità degli zuccheri semplici (fruttosio, glucosio e saccarosio) è piuttosto elevata per gli individui sedentari, ma non altrettanto per gli sportivi. L’attività muscolare brucia zuccheri semplici in grande quantità, impedendone quindi tutti gli effetti dannosi. In più i muscoli quando lavorano producono molecole antinfiammatorie che si chiamano miochine e che sono capaci di portare benefici a tutto l’organismo.
Ovviamente stiamo parlando dell’attività fisica amatoriale che ognuno di noi può e dovrebbe fare. L’attività agonistica meriterebbe un discorso a parte.
 


SUL LINK:

vi consiglio di leggere
Nutella Bready
un interessante articolo che parla di Nutella Bready, un nuovo snack della Ferrero, proposto per la colazione e gli spuntini. Leggendo l'etichetta però si denota come la porzione consigliata per la colazione (2 Nutella Bready) sia eccessivamente calorica!!Per non parlare del prezzo piuttosto elevato!
Io consiglio..ma perchè non prepararsi un buon panino con la Nutella per colazione???
Alla prossima!

L’Oms raccomanda più frutta e verdura per combattere l’ipertensione


(Coldiretti)


Il killer del nuovo millennio. Così è stata recentemente definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ipertensione arteriosa. Questa condizione clinica, fattore di rischio per ictus, infarto e aneurismi delle arterie è in costante aumento, tanto da rappresentare il 19% dei decessi in tutta la popolazione mondiale. In Italia sono quasi uno su tre gli adulti che soffrono di ipertensione, ma si stima che siano molti di più i soggetti a rischio. Secondo l’Oms è bene giocare d’anticipo e il modo migliore per farlo è quello di controllare l’alimentazione, perché è proprio a tavola che l’ipertensione trova spesso terreno fertile. Gli esperti dell’Oms raccomandano la cosiddetta Dieta Dash (Dietary approach to Stop Hypertension). Si tratta di un regime alimentare che negli Usa ha riscosso molto successo, tanto da essere stato proclamato miglior dieta del 2012. Ideata dai nutrizionisti americani, punta a garantire una riduzione della massa grassa mediante il controllo dei valori potenzialmente pericolosi per l’innalzamento della pressione.



Nell’elaborare la dieta, i nutrizionisti Usa si sono focalizzati sulla presenza di sodio nel cibo, essendo quest’ultimo considerato  il principale artefice dell’aumento della pressione sanguigna. Da evitare – dicono gli autori – gli alimenti conservati o trattati, soprattutto quelli in scatola, perché nella maggior parte dei casi forniscono all’organismo una dose di sodio che supera abbondantemente il fabbisogno quotidiano. Semaforo verde invece per i cibi freschi come frutta, verdura, carni bianche, pesce, cereali, frutta secca e legumi. Tutti alimenti che, oltre a garantire un basso apporto di sodio, aiutano anche a tenere sotto controllo il colesterolo cattivo. Maggiore attenzione anche alle etichette dei cibi acquistati in particolare non solo alle calorie complessive, ma anche ai livelli di sodio che molto spesso dipendono dalle metodologie di conservazione dei prodotti.


CON L'ANGURIA UN CUORE PIU' IN FORMA!!!

Mangiare anguria riduce il rischio di problemi cardiaci e di ipertensione. A rivelarlo è uno studio condotto dai ricercatori americani della Florida State University recentemente pubblicato sulla rivista scientifica  American Journal of Hypertension. I risultati della ricerca avrebbero infatti mostrato come il consumo di anguria, frutto simbolo dell’estate per antonomasia, possa rappresentare un  valido aiuto naturale contro le malattie cardiache e l’ipertensione. Nello specifico, gli effetti benefici  sulla salute sarebbero - secondo i ricercatori- da attribuire alla citrullina, un aminoacido presente in questo gustoso frutto.





Durante il periodo di follow-up  gli scienziati hanno chiesto ai partecipanti di immergere le mani in acqua fredda  mentre veniva loro misurata la pressione sanguigna. L’accorgimento  serviva per simulare condizioni di tempo freddo, cioè quelle notoriamente più a rischio per i cardiopatici. Alla fine  i ricercatori hanno così potuto rilevare come il consumo di anguria sia collegato ad un abbassamento della pressione sanguigna e a una riduzione dello stress a carico dell’apparato cardiovascolare anche in condizioni più critiche come l’esposizione al freddo.

Come si sa l'anguria essendo il frutto tipico della stagione estiva non è disponibile tutto l’anno. Pertanto, è bene approfittare della stagione estiva ormai alle porte per assaporare i benefici di questo gustoso alimento, da sempre gradito da adulti e bambini. Il modo più semplice e naturale per mantenerci in salute! L’anguria è uno dei frutti meno calorici in assoluto (solo 16 Kcal per 100g), contiene più del 95% di acqua ed è un ottima fonte di vitamina A, C e licopene, un potente antiossidante con azione preventiva nei confronti dei radicali liberi.













DIETA: LE BRUTTE ABITUDINI INIZIANO ANCORA PRIMA DI NASCERE

Già nel 2009 la Monell Chemical Senses Center, una organizzazione non profit di Philadelphia, come riportato anche in un recente articolo del New York Times, aveva dimostrato che i bambini di madri che hanno seguito una dieta variegata in gravidanza e allattamento sono più aperti a provare diverse varietà di sapori, e che  le predilezioni per determinati cibi viene mantenuta poi nell’adolescenza e nella vita adulta.
Julie Mennella, biopsicologa e ricercatrice che si occupa di questi temi, sottolinea che ciò che il bambino preferisce mangiare riflette ciò che mangerà poi da adulto, con la differenza che in quel momento intervenire per correggere la dieta risulterà molto più difficile.

I ricercatori suppongono che il bambino attraverso l’utero e il latte materno sia esposto a segnali che definiscono la precoce esperienza dei sapori. Così se il bambino riceve tanti input diversi sarà più semplice poi in vita accettare i diversi sapori a tavola, in particolare quelli più “sani” come di frutta e verdura.

E questo è uno dei motivi per cui l’allattamento al seno dovrebbe essere sempre la prima scelta. I latti formulati non hanno un ampio spettro gustativo, sono sapori “preconfezionati” che non cambiano mai. Ma per chi non ha la possibilità di allattare naturalmente, i ricercatori suggeriscono che è fondamentale  poi garantire al bimbo una dieta variegata nella fase dello svezzamento, per far si che sia sempre ben disposto a provare alimenti nuovi e a mantenere una dieta ricca anche nelle epoche successive.

Se i bambini sono “assuefatti” dal junk food

Altre ricerche  attinenti sono state condotte al Foodplus Research Center dell’Università di Adelaide in Australia. In questo caso ciò che hanno rilevato gli studiosi è che madri che si nutrono di cibo spazzatura in gravidanza, avranno un’elevata possibilità di avere figli con una predilezione per questi alimenti.  I ricercatori hanno osservato l'innesco di un meccanismo simile a quello della dipendenza dalle droghe: quando c’è un consumo costante ed elevato di una sostanza, si ha un riduzione della sensibilità dei circuiti cerebrali alla sostanza stessa,  si diventa assuefatti e, quindi, ne serve progressivamente di più per avere l’effetto “piacevole”. Allo stesso modo, serve più junk food per avere lo stesso effetto emozionale ed edonistico. Così le madri che hanno una alimentazioni sbagliata in gravidanza, predispongono i loro figli ad una dipendenza da cibo spazzatura.

                          
I risultati di questi filoni di ricerca sono estremamente interessanti. Ci dicono che forse è tempo di pensare alla salute della popolazione ancora prima della nascita?
Il periodo della gravidanza e allattamento dovrebbe quindi rappresentare un momento di dialogo, di confronto per intervenire sulle abitudini alimentari delle madri e quindi dei nascituri. E questo potrebbe rappresentare un nuovo elemento  su cui intervenire per la situazione sanitaria dei paesi occidentali. Quello che servirebbe è il coinvolgimento di figure  professionali come i medici ginecologi, i nutrizionisti e i pediatri, che sino ad ora forse sono state più in disparte nella prevenzione alle cattive abitudini alimentari dei più piccoli. La proposta di un approccio multidisciplinare, di una collaborazione professionale che integri anche un esperto nell’educazione alimentare in queste fasi, potrebbe fare la differenza.

 

 
INGHILTERRA: LA FRUTTA RIMPIAZZA GLI SNACK ALLA CASSA DEL SUPERMERCATO 
 
 
"Healthy Checkout”, è questo il nome della pregevole iniziativa che la catena di supermercati Lidl ha avviato in Inghilterra per aiutare i genitori a crescere i propri figli attraverso un’alimentazione più sana ed equilibrata. D’ora in poi presso tutte le casse delle filiali Lidl nella contea del Nord Devon caramelle, snack e cioccolatini lasceranno spazio alla frutta e a prodotti a base di frutta. L’iniziativa, pubblicata sul North Devon Journal è sorta dopo che una recente ricerca condotta dalla stessa catena di supermercati ha mostrato che il 52% dei genitori intervistati si dichiarava in difficoltà nel far seguire ai propri figli una dieta più salubre. E ad ostacolare le sane intenzioni dei genitori sembrerebbero proprio anche i numerosi espositori di snack, caramelle, cioccolatini e altro cibo spazzatura piazzati alle casse dei supermercati. Il 68% dei genitori dice di essere “tormentato” dai propri figli per l’acquisto di questi prodotti non salutari al momento della fila alle casse. E più di uno finisce per cedere alle richieste…
                
Sì perché due terzi dei genitori ha infatti ammesso che qualche volta, se non addirittura ogni volta acquista snack alla cassa, non fosse altro che per tenere buoni i bambini. La ricerca ha inoltre rilevato (ed è questo che ha spinto Lidl all’iniziativa) che più del 60% degli intervistati vorrebbe avere la possibilità di poter acquistare al posto degli snack esposti qualche prodotto più salutare. Lidl UK dichiara di essere la prima catena di supermercati a compiere un passo così audace. L’impegno non è solo quello di aumentare nei consumatori la consapevolezza dell’importanza di una dieta equilibrata e di uno stile di vita sano, ma anche fare qualcosa di concreto per indurre i clienti a seguire questi principi. Non sempre è facile per i genitori resistere ai tormenti dei bambini, quindi eliminare dolci e cioccolatini dalle casse e sostituirli con porzioni di frutta rappresenta per i genitori un modo alternativo e più sano per assecondare le richieste dei propri bambini.

Ora diverse associazioni inglesi come la British Dietetic Association auspicano che l’esempio venga seguito anche dalle altre catene di supermercati (e speriamo anche in Italia!!!).

 


STUDIO USA RIVELA: CHI SOFFRE DI OBESITA' VIVE 7 ANNI DI MENO 

 Aspettativa di vita ridotta fino a sette anni per chi è in sovrappeso o soffre di obesità. A rivelare questo sconfortante dato è una ricerca condotta presso la City University di New York. Lo studio, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica American Journal of Public Health, avrebbe rivelato come le cattive abitudini alimentari nella popolazione sarebbero la causa principale di morte prematura.

               

I ricercatori americani sono giunti a questa conclusione dopo aver analizzato i dati pubblicati sul National Health and Nutrition Examination, un’indagine condotta negli Usa tra il 1988 e il 1994, e le statistiche di mortalità (National Death Index) riferite al 2006. I risultati avrebbero mostrato che obesità e sovrappeso sono correlati all’aumento del rischio di morte (almeno il 20%) per tutte le cause o per le malattie cardiache. Più specificamente, rispetto ai soggetti in condizione di peso normale gli adulti obesi sono morti mediamente 3,7 anni prima per tutte le cause e 1,6 anni prima a causa di malattie dell’apparato cardiovascolare. In particolare, il tasso maggiore di rischio sarebbe stato riscontrato nei soggetti affetti da obesità di età compresa tra i 45 e i 64 anni, il cui decesso avviene mediamente 7,1 anni prima del tempo per tutte le cause e fino a 12,8 anni prima a causa di malattie cardiache.

Gli autori della ricerca si dicono non sorpresi da questi dati, visto che il tasso di obesità negli Stati Uniti (ma anche in altri Paesi, soprattutto quelli occidentali) sta aumentando in maniera allarmante. Considerando che il numero di persone affette da obesità è in costante crescita soprattutto tra i bambini (cioè gli adulti di domani), ecco come sia a questo punto fondamentale la prevenzione volta a promuovere un’alimentazione più sana ed equilibrata.
 

L'ASMA ALLERGICA SI COMBATTE CON FRUTTA E VERDURA!
 


Mangiare frutta e verdura diminuisce il rischio di asma allergica. A rivelarlo è uno studio condotto da un team di ricercatori del Centro Ospedaliero Universitario Vaudois di Losanna (Svizzera). La ricerca, recentemente pubblicata sulla rivista scientifica Nature Medicine avrebbe mostrato come le fibre fermentabili contenute in frutta e verdura siano in grado di ridurre l’infiammazione polmonare causata dagli allergeni degli acari della polvere.
Lo studio è stato effettuato su un gruppo di topi alimentati in modo differente. I risultati avrebbero evidenziato che quelli alimentati con mangime contenente solo lo 0,3% di fibre fermentabili mostravano una reazione allergica decisamente superiore ai topi alimentati con un quantitativo superiore (4%) di questi tipo di fibre. Gli scienziati spiegano che una volta arrivate nell’intestino le fibre subiscono la fermentazione ad opera dei batteri intestinali, i quali producono così acidi grassi a catena corta. Quest’ultimi, una volta entrati nel circolo sanguigno vengono trasportati fino al midollo osseo, dove poi influenzano lo sviluppo delle cellule dell’immunità. Quando avviene l’esposizione agli allergeni degli acari della polvere gli elementi che compongono il sistema immunitario viaggiano fino ai polmoni causando una risposta allergica minore rispetto a quella che si avrebbe in loro assenza.
Dal momento che i meccanismi dell’immunità che entrano in gioco sono molto simili nell’uomo e nei topi gli scienziati si dicono fiduciosi che la stessa risposta allergica ridotta possa verificarsi anche nell’organismo umano. I risultati della ricerca evidenziano come l’aumento dell’incidenza dell’asma allergica fatto registrare durante gli ultimi 50 anni potrebbe essere dovuto al fatto che le diete moderne sono spesso povere di frutta e verdura. Attenzione: secondo dati Coldiretti 1 bambino su 4 in Italia non consuma ortofrutta almeno una volta al giorno!



MANGIARE PIU' SANO DOPO L'ESERCIZIO FISICO!

Sana alimentazione ed esercizio fisico sono generalmente considerati come il giusto connubio per mantenersi in forma e ridurre il rischio di patologie cardiovascolari o di diabete. Purtroppo però, un po’ per pigrizia ma anche e soprattutto a causa dei ritmi frenetici imposti dalla vita moderna, non sempre le buone intenzioni vengono o possono essere messe in pratica. A confermare tuttavia l’impatto positivo in termini di salute che il nostro organismo avrebbe dedicando ogni settimana un po’ di tempo all’attività fisica è uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Birmingham, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica American Journal of Clinical Nutrition.
 


La ricerca avrebbe evidenziato quanto l’esercizio fisico possa influenzare in modo positivo le abitudini alimentari della popolazione. I ricercatori sono giunti a tale conclusione dopo aver chiesto ad una quindicina di giovani volontari di sesso maschile, tutti in buono stato di salute, di correre su un tapis roulant per un tempo massimo di 60 minuti. Al termine della prova i volontari sono stati sottoposti a una risonanza magnetica per analizzare l’attività delle aree neurali che suggeriscono al cervello le “ricompense”. I risultati avrebbero evidenziato come i centri di ricompensa fossero più attivi in seguito alla visione di immagini relative ad alimenti a basso contenuto di grassi, viceversa avevano mostrato una ridotta attività dopo che ai volontari sono state mostrate immagini di alimenti ad alto contenuto calorico.

In sostanza quindi, dopo aver svolto esercizio fisico, il cervello tenderebbe a suggerire il consumo di alimenti sani e ipocalorici come ricompensa per lo sforzo effettuato. Già in passato alcuni studi avevano dimostrato come l’attività fisica potesse ridurre sensibilmente il senso di fame, ma nessuno aveva ancora studiato la reazione del cervello per quanto riguarda il desiderio degli alimenti dopo l’esercizio.
 

                               
L’inizio del nuovo anno solitamente viene accompagnato da tante buone intenzioni e buoni auspici; quale migliore occasione quindi per coloro che ancora non l’hanno fatto per pensare di dedicare almeno un paio di volte a settimana un po’ di tempo all’attività fisica e mettere da parte i cibi poco salutari, lasciando il posto ad alimenti più sani come frutta e verdura di stagione? Il nostro organismo saprà essere riconoscente.

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